Giovedi 13/09/2012 si è svolto presso l’incubatore/acceleratore H-FARM il secondo ISDAY che ha avuto come oggetto la presentazione del Rapporto sulle startup, basato sui suggerimenti del primo evento e sul lavoro della task force istituita presso il ministero dello sviluppo economico.
100 giorni dopo il primo Open Day è possibile finalmente scoprire attraverso il documento Restart Italia la linea che il ministro Passera intende seguire per facilitare e spingere la creazione di un ecosistema in grado di “rinnovare culturalmente” e allo stesso tempo essere volano per una nuova economia.
Il rapporto non intende essere rivolto a qualsiasi tipo di startup, ma solo ad imprese rispondenti a dei requisiti ben precisi:
L’innovatività è valutabile riconoscendo, alternativamente, uno di tre indicatori possibili:
Nelle intenzioni del rapporto è richiesta, nella fase successiva alla costituzione, l’iscrizione ad una directory pubblica di pubblico accesso ove sia possibile consultare un’anagrafica della startup, elencante soci, eventuali premi, oggetto e innovatività del progetto. E’ prevista un’ulteriore serie di dati da registrare in via confidenziale (transazione, descrizione prestiti, bilancio, ecc.).
La ratio è da individuare nella volontà di non creare situazioni “di comodo”: lo Stato si preoccupa di creare un regime agevolato e in cambio richiede una trasparenza assoluta e dati facilmente verificabili.
Il sociale è settore che può essere meno attrattivo per investitori, ma di certo non meno utile per il sistema paese. In aggiunta ai criteri precedenti sono identificati nuovi requisiti affinché sia certa la “ vocazione sociale”:
Non siamo di fronte ad una nuova definizione giuridica, ma ad un pacchetto di misure semplificative rivolte a tutte le imprese che soddisfino i criteri finora stabiliti. L’obiettivo è ridurre al minimo i problemi e le lungaggini della fase di avvio, derivate da adempimenti ed oneri burocratici, fiscalità cervellotica, reclutamento del personale e fornitura di servizi e consulenze.
In particolare:
Lo statuto zero prevede l’assenza di un capitale sociale predefinito, work for equity, fallimento e liquidazione semplificati, stock options, governance semplificata e maggior facilità per effettuare aumenti di capitale.
Si vuole passare da una contabilizzazione dei ricavi e costi per competenza ad una per ricavi e costi per cassa, pagando solamente al momento dell’incasso e non prima. In questo modo è aumentata a 5 milioni di euro la disposizione esistente in materia di IVA (ora 2 milioni) e viene introdotta un’aliquota forfettaria IRES per rispettare il criterio di cassa.
Sono semplificate le procedure di assunzione e licenziamento, con lo scopo di flessibilizzare il lavoro in questa fase e contenere i costi IRAP. A patto che alla fine dei 48 mesi arrivi un contratto a tempo indeterminato.
Allo stesso modo si vuole eliminare l’odioso sistema attuale per quanto riguarda la sottoscrizione di capitale in fase iniziale, semplificando le procedure e prevedendo vantaggi fiscali. Si incentiva quindi il lavoratore che può definirsi a pieno titolo parte dell’impresa una volta che accetti l’offerta di Stock Options.
Simile filosofia è dedicata al Work for Equity, in modo che chi crede fin dal principio all’idea di impresa possa efficacemente e senza svantaggi fiscali acquisire quote societarie in cambio di servizi resi (si pensi ad attività di consulenza, prezzi per locazioni/affitti di attrezzature e così via).
“Un “anchor investor” che sostiene il processo di fundrasing degli investitori privatie di quelli istituzionali. Affianca il VC investendo nel fondo e l’investitore informale tramite il matching delle singole operazioni”. Ovvero un fondo del governo che può arrivare fino ai 2/3 dell’investimento privato, in regime di co-finanziamento. Importante specificare che non è inteso come un fondo diretto alle imprese ma agli investitori ed è prevista una forma di controllo esterno con monitoraggio costante. Il 20% di questo fondo è riservato per investimenti legati a startup a vocazione sociale.
Il fondo Seed è finanziato dalla Cassa Depositi e Prestiti e raccolta privata (anche del management). Interviene fino a 500.000 euro solo in co-investimento con una formula standard di Prestito Convertibile. Si tratta sempre di uno strumento per gli investitori, dove in questo caso lo stato “presta i soldi” a condizioni ben determinate (investimenti su early stage, 5+5 anni di durata, gestione a portafoglio).
Per incentivare l’investimento privato è prevista una deducibilità del 35% (2 milioni di euro/anno), 20% (5 milioni di euro/anno) e 50% nel caso di startup sociali (col limite di 2 milioni di deducibilità massima a fronte di un investimento di 5 milioni massimo).
Sono anche previsti Indicatori per valutare il track record (e la performance) di un incubatore o acceleratore, per valutare l’accesso alle agevolazioni.
Nell’ottica dell’incentivazione all’investimento privato nelle startup si parla finalmente di Crowdfunding: sono previsti snellimenti per l’avvio dell’attività e registrazione presso la CONSOB, detrazione fino al 75% in dichiarazione dei redditi per investimenti di questo tipo e un investimento massimo di 2,5 milioni di euro. L’investimento minimo possibile deve essere 20 euro e lo scopo della piattaforma ben definito al momento della costituzione.
Il Social Lending è invece destinato alle startup sociali: attraverso questo sistema di prestito e opportuni vantaggi fiscali si vuole spingere il supporto alle iniziative di stampo sociale attraverso il ricorso a capitale di debito, non per forza di origine bancaria.
È prevista inoltre l’istituzione di una sezione speciale del fondo a garanzia delle PMI, nella somma di 30 milioni di euro, per le startup rientranti nei criteri prima definiti per operazioni di garanzia e controgaranzia. L’obiettivo è incentivare l’investimento privato attraverso un supporto fino l’80% del prestito con commissioni azzerate.
Possibilità di deduzioni fiscali e altri mezzi attraenti per reperire il capitale (uso del Fondo di Garanzia per esempio) affinché i fondatori possano riappropriarsi delle quote cedute in precedenza, oppure una deduzione fiscale del 50% per gli investimenti destinati all’acquisizione totalitaria di una startup entro i 4 anni di vita da parte di soggetti terzi.
La fase di quotazione è il momento di valorizzazione assoluto per una startup. Per questo motivo viene prevista una cifra simbolica flat e deducibilità al 100% dei costi relativi alla quotazione durante i primi 24 mesi di essa. In questo modo si vuole spingere sulla dimensione internazionale favorendo l’afflusso di capitali esterni.
La creazione di una borsa sociale ha come obiettivo la costituzione di un mercato finanziario a tutti gli effetti, gestita da un’impresa di investimento già esistente e da una società di promozione per favorire l’incontro tra domanda e offerta di quote e titoli di startup a vocazione sociale. Si vuole quindi rendere la startup sociale interessante quanto la startup classica, con però in mente un investimento di natura etica e non puramente speculativo.
Il fallimento allo stato attuale delle cose è visto come una tragedia sia dal punto di vista personale (con le implicazioni sociali connesse), che dal punto di vista della gestione della procedura stessa. Gli ecosistemi snelli e prolifici vedono invece il fallimento come una fase che fa parte della natura delle cose e che, anzi, è insegnante di esperienza per le avventure future. Non per niente il motto della Silicon Valley è “fail to fail better” (fallisci per fallire meglio) e chi ha più esperienze andate male “all’attivo” è visto meglio che una persona alle prime armi (sempre che si sia imparato dagli errori).
Con le garanzie adeguate, non può che essere una svolta culturale importante anche per noi: per questo motivo sono state previste procedure di liquidazione con durata massima di 60 giorni, dove lo startupper stesso è il liquidatore, senza oneri camerali e con l’annullamento delle rigide restrizioni attuali per i falliti.
La disciplina della continuità aziendale ha come caposaldo il concetto del “meglio un exit meno remunerativa che il fallimento”: l’obiettivo è semplificare l’attuale regolamentazione del concordato fallimentare (pensato per realtà grandi) così da liquidare la startup valorizzando la proprietà intellettuale e preservando gli asset commerciali.
Le università sono i luoghi dove si possono creare le amicizie di una vita, ma anche trovare i futuri soci per un’avventura imprenditoriale: per questo motivo l’istituzione di spazi con dotazioni tecnologiche adeguate dove gli studenti possano incontrarsi, ma anche lavorare e tenersi in contatto con gli investitori, è di fondamentale importanza.
In contrasto con i canoni legati al lavoro da lungo tempo ormai instauratisi, il rapporto parla della creazione di consapevolezza: ovvero che il lavoro non per forza si cerca (o viene, paradossalmente, a cercarti), ma ce lo si può anche creare. Mezzi di questo cambio culturale devono essere, nell’ottica del rapporto, il servizio televisivo pubblico (sulla falsariga dell’esperienza anglosassone) e la scuola, attraverso i quali i ragazzi fin da più giovani devono esser messi in grado di conoscere le possibilità che ci sono nel mondo. Senza fossilizzarsi in schemi prestabiliti.
Il territorio è allo stesso tempo importante, e la startup, fintanto che è tale, è come tutte le imprese legata al territorio di origine. Non si tratta solo di indotto, ma anche di possibilità e prospettive che imprese non convenzionali possono portare in un determinato contesto, arricchendolo o cambiandone le sorti (sia innovando che ingrandendosi fino ad essere datore di lavoro di dimensioni importanti).
Per questo motivo è anche previsto il lancio di un Piano Nazionale per gli ecosistemi startup, supportato da un fondo di 50 milioni di Euro dove l’iniziativa privata deve sostenere un minimo del 30% del capitale complessivo dell’investimento. L’obiettivo è coinvolgere gli enti locali (ANCI, Conferenza regioni, ecc.), così che sia presentato un piano organico in ottica collaborativa e sia possibile la creazione di un’area con burocrazia semplificata, il tutto sotto la vigilanza di un comitato di esperti.
In questo caso il rapporto parla di date precise per quanto riguarda gli ecosistemi:
Lancio del bando: novembre 2012
Candidature dei progetti entro: febbraio 2013
Valutazione e selezione entro: aprile 2013
Firma dei contratti: maggio 2013
Realizzazione dei progetti: a partire dal 1 giugno 2013
Il rapporto qui sopra presentato sicuramente non manca di carica innovativa. Il lavoro denota una qualità raramente vista in provvedimenti recenti ed è possibile intuire la passione che ne ha spinto la realizzazione. Sicuramente non è perfetto e alcune soluzioni possono sembrare di compromesso. Può essere discutibile la scelta di voler definire cosa sia una startup con le seguenti limitazioni per accedere ai benefici semplificatori; la volontà stessa di creare una nuova categoria di imprese con “la vita più semplice” (anche se a fronte di rigidi requisiti); il dubbio su come sarà accolta dall’attuale burocrazia tanta volontà di semplificazione; la mancanza di infrastrutture (digital divide in primis); in ultimo il fatto che, non deve essere dimenticato, che siamo di fronte solo ad un rapporto: nessuno degli elementi qui presentati è già legge, non ci sono decreti attuativi e la via per la realizzazione di molte di queste idee sarà molto impervia.
Ciononostante dà quantomeno speranza la creazione di un documento simile: si è finalmente giunti alla consapevolezza, a livello istituzionale, che è necessario investire in innovazione, diversamente non sarà possibile un rinnovamento culturale ed economico, evitando così un inesorabile declino generalizzato. Dobbiamo solo sperare che non resti l’ennesima buona dichiarazione di intenti.
Scarica la presentazione dell’evento
Tagged incubatore, isday