Sicuramente ti sarà capitato di notare, nei vari quotidiani economici e non, numerosi articoli riguardo la crescita dei cosiddetti “BRICS” (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e numerose speculazioni riguardo alle nuove opportunità e alle condizioni in questi nuovi mercati.
Ciò che però viene spesso tralasciato è un’attenta analisi a riguardo: si parla tanto di numeri, specialmente per quanto riguarda il costo di materie prime e di costo del lavoro, ma non si parla mai della società dietro questo “boom”. E’ vero che molti paesi erano in condizioni di semipovertà fino a non molto tempo fa e che pratiche tese all’apertura del mercato, coadiuvate da generose iniezioni di capitale estero, hanno reso possibile questa crescita esponenziale. Ma non si parla mai della “fame” che sta rendendo questo fenomeno possibile.
In un precedente articolo abbiamo accennato ad uno studio della Harvard Business School, il quale afferma che:
Ed è esattamente questo ciò che muove tutti questi sistemi economici! Almeno, dal punto di vista “culturale”. La maggior parte delle persone di questi paesi non ha mai avuto nulla e, logicamente, come le opportunità si presentano cercano di farne tesoro nel modo migliore possibile. In questo modo innescando un ciclo virtuoso che porta benefici alla società intera.
Qualcuno affermerà che è facile costruire qualcosa in un posto dove molte posizioni sono aperte e le condizioni economiche molto vantaggiose, specialmente per quanto riguarda i costi e l’imposizione fiscale. Ma… volendo essere corretti si potrebbe anche affermare il contrario: nonostante le ottime occasioni è anche possibile che si resti statici e non si migliori. E qui si può capire più chiaramente perché la “fame” è il criterio distintivo tra le due situazioni.
Se ci pensi, è successo lo stesso da noi nel dopoguerra. Qualche giovane padre di famiglia è emigrato all’estero, ha racimolato un po’ di quattrini, è tornato a casa e ha fondato il primo nucleo di quella che molto probabilmente è ora l’azienda di famiglia. Situazione nella quale, soprattutto nel Nordest, molti potranno riconoscersi. Cosa ha quindi mosso questo padre di famiglia a prendersi la nave, viversi la condizione di emigrato in altri tempi, lavorare duramente e poi tornare a casa per fondare qualcosa? Di nuovo, la “fame”. Grazie a questa, unita ad un pizzico di follia, è riuscito a cogliere le opportunità che gli si sono presentate davanti, se non proprio a crearsele. Chi non ha niente può solo che risalire la china! E grazie a questa voglia di mettersi in gioco e al non far caso alla disponibilità di risorse di queste persone, nessuno più ha patito per davvero la “fame”.
Verrebbe da aggiungere un “purtroppo”. Vero che grazie alla crescita dei decenni scorsi siamo riusciti a vivere, chi più chi meno, negli agi. Però gli agi, se non si prendono le dovute cautele, corrompono e fanno fermare la testa.
In questa particolare congiuntura economica è davvero necessario fare tesoro dell’esperienza di questi padri di famiglia. E’ necessario ricordarsi che il loro motore era la “fame”, quella vera. Ed è forse il caso di tener sempre presente che potrebbe tornare, se non ci muoviamo in fretta e cambiamo il modo di ragionare. In questo modo, probabilmente, sarà possibile ricominciare a vedere le occasioni. E ci accorgeremo che non si sono mai mosse da lì, ci stavano solo aspettando!
Per questo lo “Stay hungry, stay foolish” (siate affamati, siate folli) coniato da S.Jobs è un motto sempre attuale. E’ solo grazie a fame e follia che cresciamo e creaiamo qualcosa di nuovo. E i mercati emergenti lo hanno ben capito. Solo così le idee si muovono!
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